Moni Giardina, il capo degli abelisti
E' leale, è onesto, rispetta compagni ed avversari, sa perdere e (quelle poche volte che gli capita) vincere con dignità. Sono queste, per citarne solo alcune, le qualità che Moni Giardina non possiede. Perseguitato fin dall’asilo da una domanda imbarazzante («Scusa, ma che cazzo di nome è Moni?») il capo degli abelisti ha imparato già da piccolo a cavarsela con una frase che, nella vita, gli sarebbe tornata molto utile: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».
Con questa prestigiosa figura di allenatore-giocatore la critica non è mai stata tenera: qualcuno lo ha accusato di gestire la squadra con metodi dittatoriali; altri lo hanno contestato perché non vuole rispondere a nessuno delle sue scelte tecniche. Ma Giardina ha smentito pubblicamente ogni accusa: «Io riferisco sempre tutto al nostro Presidente, che come sapete è Dio. Lo vedo ogni giorno, in pratica tutte le volte che mi guardo allo specchio».
C'è chi parla di lui come di un Unto del Signore; ma il capo degli abelisti, con grande modestia, ridimensiona: «Sono solo unto. Ma cercate di capirmi: è difficile lavarsi con dei compagni che cercano di sodomizzarti sotto la doccia». Il singolare atteggiamento dei giocatori abelisti, oltre che con l'indiscussa avvenenza del loro capo, si spiegherebbe con i modesti risultati della squadra, che in molti collegano al prolungato ostracismo del tecnico contro il blocco Cavadi.
Ma a prenderlo di mira non sono solo i compagni inferociti. Gli ispettori dell'Antidoping si sono accaniti contro di lui, accusandolo di avere ingrassato i giocatori dello Sporting con massiccie dosi di anabelizzanti. E la procura di Paperopoli ne ha chiesto recentemente il rinvio a giudizio attribuendogli la responsabilità di una partita sospesa per truffa.